Il naturalismo visionario di Giusi Velloni
Appare come un mondo fiabesco, quello dipinto da Giusi Velloni, in cui animali ricoperti da pelurie multicolore si presentano in atteggiamenti semi-umani, secondo un linguaggio maturato in anni di pittura e indirizzato verso una figurazione surreale, a tratti ironica, ma carica di struggente umanità. Uno “stile autonomo” (come lo definisce Antonella Pesola nel 2019, presentando la pittrice in occasione della sua prima mostra personale), le cui radici sprofondano nel terreno del disegno, attingendo alle basi di un mestiere basato sull’utilizzo di tele, pennelli e colore a olio: dunque, in definitiva, dalla tradizione.
Eppure, Velloni, da questa tradizione si allontana, pur adoperando i consueti strumenti della tecnica, per definire scenari completamente inediti. È appunto quel suo mondo variopinto, popolato da creature improbabili come zebre dal manto arcobaleno, gorilla e scimpanzé dalle più svariate tonalità, leoni la cui criniera sembra uscita da un video-clip anni Ottanta. Ironico, si diceva, eppure velato di una certa nostalgia. A guardare bene i suoi lavori, infatti, colpisce il carattere introspettivo che viene trasferito negli occhi di tali creature, vitalizzate in una sorta di metamorfosi evolutiva dove l’essere animale cede al passo all’umano. Ed è questo il carattere più interessante da analizzare nel suo lavoro, un aspetto empatico tra artista e soggetto dipinto, ma anche il tentativo di superare l’ostacolo della semplice raffigurazione. A ben vedere, infatti, chi padroneggia la tecnica con l’abilità da lei dimostrata, può ben accontentarsi di raffigurare la realtà secondo il canone del vero. Eppure, Velloni si avventura verso il rischio dell’incomprensione, operando una deviazione dal sentiero del realismo per abbracciare qualcosa di opposto: una natura innaturale, frutto di un ecosistema alieno le cui coordinate possono esistere solo nei molteplici universi dell’immaginario.
Ma così facendo, Velloni carica di mistero quelle sue creature, la cui riconoscibilità è alterata e stravolta, svelandone il lato segreto e nascondendone la parte più comune. Opera, in sostanza, quello stesso atteggiamento manierista che fu di un Arcimboldo, capace di umanizzare l’inanimato rivelandone tratti inaspettati che solo l’immaginazione artistica poteva permettersi. Ma non si tratta, in Velloni, di ingannare pareidoliticamente lo sguardo, piuttosto dichiarare allo spettatore che la realtà apparente può essere di per sé illusa semplicemente invertendo le regole del gioco.
Si entra così nel campo del Surrealismo e più generalmente di quegli artisti che, pur partendo dal reale, hanno giocato con l’immagine creando labirinti di inganni e depistaggi. In questo senso, le bestie di Giusi Velloni si spogliano della loro veste animalesca per assurgere a manifestazione allegorica della vita stessa. Le pose e gli sguardi, ma anche le situazioni, appaiono non più aderenti al mondo animale e piuttosto, al contrario, si presentano come uno specchio metaforico in cui riconoscersi: gli sguardi del gorilla in Ho creduto fosse neve, o del Grande Gigante Gentile, esprimono lo struggente disincanto dell’essere pensante di fronte alle incertezze della vita. Così come il Re della foresta, che si sveste della sua aura da dominatore per compiere il salto verso qualcosa di profondamente diverso: The King (titolo dell’opera), nel cui atteggiamento svanisce ogni tentazione di imporre il proprio potere, altresì cercando di rendersi accattivante e malizioso, riflessivo (come in Osservo, penso e valuto), sfuggente: tutto, insomma, tranne che un feroce leone.
E così potremmo proseguire andando ad analizzare ogni sguardo, ogni atteggiamento, ogni movimento, perdendoci in congetture e ipotesi, ma certo è che tutto ciò non avrebbe la stessa forza comunicativa se quei colori e quelle sfumature non fossero totalmente alterati dalla realtà. È in definitiva la forza di quel gesto (tanto semplice da apparire profondamente complesso) il segreto del naturalismo visionario di Velloni, un gesto, cioè, che è quello di alterare il senso del colore: mettere il blu, dove il blu non dovrebbe stare, e così il rosso, verde, fucsia, giallo, immergere tutto in uno scenario stroboscopico di tonalità improbabili e al tempo stesso, proprio per questa loro caratteristica di insensatezza, così attraenti.
Si è dunque di fronte a una dispensa dalle regole, un tempo carnevalesco dove tutto è concesso e dove il reale e l’immaginario si confondono. D’altra parte, l’istinto dell’evasione dalla realtà, anche solo per pochi istanti, pervade ognuno di noi. Così l’opera di Velloni conquista la sua ragion d’essere proprio in virtù di quella fuga dalla realtà, ma con gli strumenti della realtà stessa. È un naturalismo, si diceva, ma visionario, surreale, ironico e scanzonato, capace di non prendersi troppo sul serio eppure, in quella sua rivendicazione di libertà, ricordarci come dietro lo sguardo di ognuno di noi si nasconda, parallelamente, la voglia di esprimere quella profondità che pervade anche il senso tragico del vivere. Dietro lo sguardo del leone, insomma, c’è anche il sacrificio della gazzella, così come nella mano del gorilla (Rafiki) intravediamo delle banconote da 100 dollari. Sono gli inevitabili paradossi del vivere, situazioni contrastanti e talvolta difficili da accettare eppure, in quanto parte della vita, necessari.
Velloni, in tal senso, ci presenta una possibile via di fuga, manifestata nei colori innaturali ed espressa in ambientazioni senza tempo. Il tutto trattato con perizia tecnica e capacità verista, indicandoci che la vita, per sembrare tanto più vera, dovrà essere rappresentata quanto più possibile lontana dalla realtà.
Maggio 2022
La scoperta del sé attraverso lo sguardo della natura
Inaugura una nuova stagione Giusi Velloni con questa sua prima mostra personale, dove ha modo di mettersi totalmente in gioco con gli spettatori. Originale interprete in una ricerca della figurazione che attinge agli esempi del passato, Velloni trasforma le iniziali radici realistiche in un rapporto del tutto diverso con la rappresentazione della figura e del paesaggio urbano. Questi generi tradizionali sono sottoposti a un processo di ridefinizione spaziale, che verte su frammenti di figure, corpi scorciati, in special modo volti, facce, ritratti plastici e scultorei, forme solide e volumi ingigantiti fino a occupare gran parte della superficie. Il linguaggio pittorico di Giusi Velloni si afferma nel corso degli anni attraverso la conquista di uno stile autonomo, caratterizzato da calibrati equilibri di masse contrapposte, forti chiaroscuri e potenti accensioni cromatiche, bilanciamenti tra un dinamismo costruttivo e un clima d’immobilità che raggiunge la sua massima evidenza plastica nel respiro drammatico delle “teste”. L’artista affida le sue inquietudini esistenziali alle variazioni luminose delle cromie che si dileguano in cangiantismi, ma anche alle valenze timbriche del rosso che suscitano atmosfere metafisiche e surreali tra dettagli del corpo, membra sparse e ricomposte nella rappresentazione. Per Giusi Velloni è sempre importante il rapporto con la storia dell’arte e con le sue valenze sociali, indicando che la passione poetica per la figura umana non esprime soltanto il trionfo della visione carnale, ma anche un sentimento di indomita ribellione nei confronti delle lacerazioni dell’esistenza. Lo sguardo dell’artista indaga gli spostamenti improvvisi delle forme, il loro modo di comprimersi e di dilatarsi nello slancio simultaneo tra primo piano e profondità, inquieto assestamento di volumi impassibili, concatenati e tra di loro sovrapposti. Attraverso misurate campiture cromatiche e tessiture segniche emerge un vigore compositivo che sostiene la dislocazione dei frammenti figurali, nel contempo le citazioni prelevate dall’arte antica si congiungono ai riferimenti contemporanei, con un senso di meditazione interiore intorno al destino dell’uomo. La Natura è uno dei temi prediletti di Giusi Velloni, che con i suoi coloratissimi animali e le dinamicità evocate da toni squillanti ricorda di quanto l’uomo paradossalmente d’istinto possa e voglia dominarla, da tempi immemori. Le visioni di questi animali ricordano di quanto l’antropocentrismo debba lasciare spazio ad un sempre maggior rispetto, che accresce nuove dinamiche di sostenibilità ambientale, della cura degli animali, della protezione di tutti gli esseri viventi. Si è manifestata creativamente attraverso l’arte una coscienza ecologista, o meglio animalista, che ha ampliato gli orizzonti all’artista.
Giusi Velloni comunica attraverso gli animali, ma a modo suo, per parlare d’altro, per parlare con loro e non di loro. Questo con la mimesis, che si fonda sulla nostra capacità di reinterpretare il concetto di identità: riconoscere cioè una cosa in un’altra che non ha le stesse proprietà, tema centrale dell’arte di ogni tempo, portata alle estreme conseguenze. Nella loro somiglianza le sue tigri, farfalle, leoni, rane, zebre, sembrano come messi in posa, dove si coglie soprattutto lo sguardo, che è gesto senza azione: insondabile, quasi metafisico, specchio e schermo di un pensiero ineffabile. Al contempo danno l’impressione di essere colti di sorpresa, fissati nell’istante tanta è l’immediatezza e la fremente verosimiglianza con cui ci squadrano e ci sfidano, senza un cenno di timore. Come se fossimo stati non già con loro, ma dei loro, e dunque ne conoscessimo naturalmente aspetto e abitudini. È l’esito conseguente di una maestria stilistica raggiunta, frutto di una pittura minuziosa, analitica.
Nel solco della tradizione, Velloni ricorda che gli animali incarnano e sublimano il divino, colto attraverso un fare pittura, composto da un codice di larga comprensione e decifrazione. Tutto ciò per rendere leggibile
il volto rappresentato. L’artista, dopo aver messo in posa il suo modello, ne ritrae la passione o l’emozione corrispondente nel fruitore e, attraverso una competenza fisiognomica, scatena un contagio emotivo che determina una puntuale risposta. Queste “bestie”, immobili o in azioni minime, si è costretti a guardarle negli occhi, a fare i conti con la loro esistenza. Un incontro con l’altro da sé, che può rivelarsi perturbante. Difficilmente si resta indifferenti di fronte a queste presenze forti, che si manifestano compiutamente, senza vanità e senza finzioni, che chiedono un nuovo rapporto con l’esistente attraverso l’uso di accese cromie che ricreano un nuovo ambiente naturale, quello primigenio.
Si diffonde un’atmosfera sospesa nei dipinti di Giusy Velloni, come se il tempo rallentasse il suo scorrere, impossibile imprigionare le immagini, legarle ad un luogo e ad un momento, le figure sono nitide, gli oggetti riconoscibili. Ma fin dal primo sguardo, quel che si sente è assai più intenso di quanto si vede. Diventa spontaneo andare oltre, al di là della natura, per cogliere l’essenza della realtà, un sentimento che trasporta verso un’esperienza intima e avvincente. In un mondo travolto dalla bulimia delle immagini, dove tutto diventa finzione nel tentativo vano di dare corpo a vuote illusioni, Velloni cerca l’essenziale, mira all’anima delle cose. Va oltre l’apparenza proprio per non farne mera rappresentazione. Non coglie l’attimo fuggente, ma l’idea pura nello spazio indefinito. Gli sguardi sono nitidi e complessi al tempo stesso. Nei suoi dipinti non c’è un unico punto di vista, non una prospettiva omogenea, o una sola fonte di luce. Il gioco delle ombre, che scombina ogni logica, offre al singolo elemento una propria dimensione, un movimento indipendente. Le figure geometriche, i volti, gli animali, diventano protagonisti di una scena che racchiude l’universo intero nel microcosmo. Il significato supera il singolo valore intrinseco, la verità sembra racchiusa in ciotole, conchiglie e scatole: misteriosi scrigni di semplicità sublime. Dietro ad ogni opera sta una lunga tradizione di conoscenza e passione. Sulle opere di Giusi Velloni si depongono suggestioni che rivelano i maestri della sua arte, che hanno determinato anche la preparazione manuale delle sue tele, come l’antica tecnica richiede per l’uso dell’olio, con la paziente costruzione del supporto e della base su cui stenderà le sue tinte. Si intravede la scuola rinascimentale di Piero della Francesca, nella classicità del segno e nella tonalità cromatica. Si espande il chiarore dei pittori fiamminghi fino alle recenti lezioni di Carrà o De Chirico. Ma ogni radice alimenta il tratto personalissimo e inconfondibile di Velloni che sa legare luminosità e colori in una coerenza senza cedimenti. È la sapienza del mestiere che la sostiene nel suo percorso, i primi apprendimenti all’Istituto d’arte, seguiti poi dai corsi del maestro Venanti all’Academia di Belle Arti di Perugia, uniti all’originaria formazione di decoratrice, hanno permesso il manifestarsi della sua raffinata sensibilità. Dietro ad ogni opera vi è un lavoro paziente e intenso, i dipinti sono preparati con cura, ogni dettaglio composto con precisione, ed è solo l’inizio, tutto rivela una passione per la pittura, che supera le mode e regge alla sfida del tempo.
Perugia, agosto 2019
A dire quello che veramente va detto sull’arte di Giusi Velloni, la verità èche uno dei piani di quello che lei ci racconta è anche: chi ci crediamo di essere noiesseri umani?
La sua pittura ci parla della natura,del cosmo,del tutto e delle forme della vita,gli animali, che come noi riempono questo pianeta, ma che a differenza di noi esseri umani, essi, lo vivono nella natura, lo vivono CON la natura. Il percorso di Giusi velloni, che ci impressiona già solo per questa invenzione del colore, che affascina, che naturalmente ci lascia subito esterrefatti, ha, in realtà, tanta sfaccettature, Lo stupore con cui l’artista vede i suoi animali, li rende multicolore, è lo stupore difronte alla bellezza e all’armonia che regna nel mondo animale, nella terra, nel cosmo e che l’essere umano fa così fatica, invece, a cogliere, ma soprattutto a vivere.
Ma non sono solo questi i temi dell’arte di Giusi Velloni, quelli che si vedrebbero naturalmente a primo impatto, cioè i temi dell’ecologia, della protezione di questo eco-sistema così fragile, che saprebbe bene regolarsi da solo senza il nostro intervento distruttivo, le specie in estinzione, gli habitat minacciati, ma ci sono temi ancor più profondi come appunto lo SGUARDO. Lo sguardo di quest’artista che è lo sguardo degli animali. Sempre, in tutte le opere, Giusi Velloni lo rende estremamente importante, rilevante, incredibile. In tutto questo, quindi, c’è il tema del rapporto tra l’io interiore e il tutto, che è così perfetto, come è, come sarebbe, nel regno della natura e che è così, invece, inspiegabilmente imperfetto nel sotto regno umano. Torna allora la domanda iniziale: chi crediamo di essere? Perché non riusciamo? Perché non facciamo abbastanza? Perché non riusciamo ad andare d’accordo con la natura? Perché noi non posiamo abbastanza il nostro SGUARDO sulla natura che ci circonda? Come mai non riusciamo ad imparare da essa e assorbirne la meravigliosa armonia?
L’invenzione dello stile di Giusi Velloni non può che essere felice, armonioso, prorompente, nuovo, fresco e sincero come un’alba assolata africana. Giusi Velloni stende e stempera in ogni sua tela tutti i colori; non riuscirebbe a stemperare qualsiasi colore della tavolzza e tutto lo spettro del visibile in un solo quadro, in un solo animale, in un solo elemento della natura che lei vuole rappresentare.
Gli sguardi, le espressioni degli esserei viventi che Giusi Velloni narra nelle sue opere pittoriche, dovrebbero far riflettere e metterci direttamente in connessione con questi esseri, verrebbe da dire addirittura con queste persone; perché il rapporto che noi abbiamo con la Terra, sintetizzando quello che l’artista ci vuole dire, questo suo senso di parlarci della natura attraverso gli animali, è una evidente volontà di alzare le mani al cosmo per dirgli GRAZIE.
Questa rappresentazione ci parla, appunto, di noi esseri umani e del rapporto che abbiamo con una cosa fondamentale che fa parte della natura, dell’universo, del cosmo e che dobbiamo adoperare, che è la COSCIENZA.
Aprile 2022